Instagrammatica (Immagini)


Esposizione presso Museo Orfeo Home Gallery
a Bologna dal 15 al 28 Febbraio 2015
Indicazioni per trovare Museo Orfeo: www.facebook.com/serenarte.bologna
Link all’evento su Facebook: www.facebook.com/events/763505580405177 

Dentro il mio smartphone c’e’ il mondo.
Il mio mondo, non il tuo, non quello descritto dai telegiornali o dai libri.
Il mio mondo, con le mie priorità.
Con la mia estetica; la mia elite di partecipanti.
In questo piccolo parallelepipedo Luminoso ogni cosa si trova al posto giusto.
Il buono è buono veramente.
Il cattivo è cattivo. Oltre ogni ragionevole dubbio.
Io sono il cittadino e il verbo.
Io sono dio.
Spada vendicatrice e protagonista ironico e crudele.
Generoso e spietato.
Quello che devo e avrei dovuto essere.
E l’altro mondo è fuori, non esiste se non come brusio…
Inside this my smartphone is the world.
My world, not yours, not the one described in the news or from books.
My world, with my priorities.
With my aesthetic; my elite participants.
In this small rectangular bright everything is in the right place.
Who is good is really good.
The bad is bad. Beyond a reasonable doubt.
I am the citizen and the verb.
I am god.
Avenging sword and protagonist ironic and cruel.
Generous and ruthless.
What I have and I should have been.
And the other world is out, does not exist except as a buzz …

All images were taken between April and August of 2014

I miei prati
la mattina presto
mentre li abbandono per il caos
con la radio dell’auto che frigge
mentre la citta’ si avvicina
accogliendomi dentro le sue strade merdose
merdose di escrementi umani,
in senso lato
mi nascondo in uno dei suoi tuguri,
e mi sospendo
ambulanze frangono il silenzio
in una nenia
che taglia i nervi e distrae
ed io sto qui per lascito ereditario
sognando temi ludici
da svolgere con impegno
sul tuo corpo slanciato
e cosi’ miscelo a questo fumo statico
quel che questo giorno
mi ricorda del tuo seno:
ma che semino e che raccolgo?
come incanalo il fluido pulsante
che mi scorre accanto?
E’ solo un tentativo
un esperienza da ripetere
nel mio animo
questa vita sperimentale.

Lucca

C’e un mucchietto d’etere
sul tavolino tondo
tra le nostre facce
e l’acqua tonica

si dilata
ci allontana.

Lucca

 

Uccidere vorrei
quel moto bavoso
da lumaca storpia
persa nel contemplare
(nel contemplarsi)
da umane variazioni
liberata per scudo
innato evoluto
in bronzo.

Tremo e non dormo
e fo da sentinella
al poco che rimane
da studiare e pensare
da conservare intatto
Come se d’intorno
non fosse che deserto
di neve e sabbia
e bestia immonda.

Repubblica di San Marino

 

Aria di Maggio sdraia il sole
e questi alberi senz’ombra, un orto,
persi e perso
loro, io,
bambino
dentro e fuori
solo
come una febbre fuori posto
maschere assurde anestetizzate dai vapori
delle pozze d’acqua fumanti
di ritorno al ciclo di sempre
loro,
io solo
senza ritegno, politica, religione o pane.

Pistoia

 

Bello ascoltare il gelo
risalire dalla punta delle dita
fino al palmo, fino al polso,
Mentre lo spettacolo langue
attori e comparse si preparano,
la tragedia finale incombe
ed il mio sorrisino d’aranciata
sottolinea un epilogo prevedibile
mentre tu guardi cio’ che vedo
io godo e tu muori di invidia verde vescica.

Repubblica di San Marino

 

Si cheta l’ansia
d’acqua fredda
fredda di roccia (quarzo)

intorno il rumore
spira piano
in silenzio

Un bacio
smorza apparenze,
sogni tiepidi
e questa mia
triste postura
che sparisce nel ritocco
che glorifica il mio avatar.

Riccione

Non so se il mio sudore
avrà ancora o mai
odore lenitivo
di cemento bagnato
in modo che l’incerto
sappia di affidabilità

adesso piove
i lavori languono
lei pure
tra i sacchi di calce
nuda
suda
ride
spreme
e viene.

Ed io idiota urlo
per il gusto di quel tatto
e niente ho appreso,
sebbene abbia ancora
Neruda nel tascapane.

Gradara

 


Ritorna il Gatto
ad ogni cambio,
sia stagione o idea,
sempre lui: il micio nero
e scava scava e scava

inutilmente direbbe lei
però il mio amore muore di fifa
anche se caccio via
a calci nel culo
gatto, chat e paura.

Riccione

 

Azzurro tenero
e giri di blues
inquinati
da lievi rimandi
a leggerezze di cuore

pare aria
frizzante di Dicembre
ma s’inganna lo sguardo
per colore e distanza,
lascia alla pelle i suoi diritti.

Vinci tutto e fai sparire
posta e carte
come se fossi il ladro
della tua libertà e questa
un furto patito dal destino.

Pistoia

 

Studio e sintetizzo le regole del sentire
i mille modi di toccare, Cristo!
Le leggi che regolano gli antichi odori dell’amore
Nel mio breviario elettronico
studio.

Non capisco, quindi sevizio ogni prologo al sereno
come fosse una guerra alla Domenica mattina
col nemico nello specchio
e ci rifletto, lo sbrecco, aggredito aggredisco,
confuso colpisco, mi accapiglio, realizzo, sfinisco, dò, piglio
poi mollo e nell’angolo patisco.

Capisco? Non capisco le meccaniche sociali
le convenienze particolari, i modi che si possono trovare, pagare, linkare, spedire
per saltare le tappe obbligatorie
prima di capire.


Siena

Ama di me ogni bel verso
trova l’incanto ovunque
Madre che spippola e io la guardo.


Perdonàtela, cieca e sorda
alla poesia, per amor virtuale…

Florence, Uffizi Museum

 

Cerco di te

Il lieve sentire
di essenze d’amore
tatuate tra i petali
di quel tenero fiore.

Il senso profondo
del tuo cercare
dentro ai miei occhi
la sillaba solita
dal cuore soffiata
dentro i tuoi fogli.
Con le dita io cerco
i tuoi fianchi, i capelli
e la seta che scorro è plastica
dura, tasti da premere.

Florence Uffizi Museum

 

e come vedi

come ti provai

come ti dissi

questo sono

e da ciò che ho intorno

e ignoro (come sempre)

di me saprai

Florence, Uffizi Museum
(Leonardo’s Room)

 

Tempi insipidi
afferrano le tue ali e le mie
le appendono ad asciugare.

Colpa mia
ti porgo il mio niente
tutto quello che puoi afferrare

abbraccialo
riscaldalo
insegna anche a lui
quella folla che hai dentro
ovunque tu sia
mondo o stanza.

Io nell’angolo che non vedi,
ti amo.

Tirana (Albania)

 

Alla mano morta e sudata
alla neve patita in inverno

alla voce sgraziata
che riempie il silenzio
accordando strumenti a vendetta

all’amor mai vissuto
a suo dire tradito
a suo dire sofferto
a suo dire perduto

alle voci che riempiono i fogli
celati in guanciali di seta

canto il suo dire sgualcito
come la notte al mattino.

Tirana (Albania)

 

Sarebbe stato un angelo
punto tra erba e sole
come se un rito lo avesse
seguito e sorpreso

si, somigliava ad un sole
specchiato nell’erba
e non un bersaglio
prima che la batteria si esaurisse

Tirana (Albania)

 

Ho aspirato in te
fumi, lividi e mosse
seguendo istinti
fino a ieri inerti
e dietro tende di vetro
appannavo i desideri
con arte e pazienza
così che i profeti e la sibilla elettronica
potessero leggere solo
quel che offriva l’immagine filtrata
in opaco di quello che sono.

Repubblica di San Marino

 

Puoi strillare
puoi fare di me carnefice, pregare,
chiedermi di finirti,
puoi sputarmi in faccia, la rabbia e la saliva
piangere, graffiarmi, strillare afona,
ma la lenta determinazione con cui ti prendo
avvolta di voglia che cresce isterica,
alimentata dai miei soffi leggeri come il fuoco,
non fa che dar forza alla mia anima nera
e io decido, amica mia.
Dietro il vetro.

Lucca

 

L’abito di garza e rabbia
e deluse calzette nere
fasciano quel forse,
carne calda e spenta,
per rinuncia e astio:
un no o un silenzio
equivalente, aspetto.
In una città che immagini
Non morirai di cenere
a pesare sul capo
tra gente distratta
(se hai in mano il pettine)
lo immaginavi mia dolce?
Ricaricami.
Mi manchi e ti voglio, si
ma trattiamo sul prezzo.

Lucca

Spento il terminale
che provoca il futile divenire-
Lì attende
a ravvivare fuochi
zampogne a suonare
zuccheri da godere
amori nuovi a tessere
rinnovando finalmente vita
oniricamente spenta.
va quindi…


Rimini

Qualcuno a volte indica
ma chi lo guarda un dito smorto?
nessun sorriso lo lancia sul mercato.

Questo è il mondo futile
leggero di arie tinte
privo di mura a contenerlo.

E io stupido
corrotto da colpe e pigrizia
lo respiro ancora.

Barcellona

 

Vo nell’ odore
lavanda stinta
acqua di niente
gusto di ghiaccio
e vele in linea
in un biliardo
di mare rosso,
Provenza bastarda
strada zingara
agguati in sordina
discese e salite
nessun punto
nessun inizio
nessuna fine.

Barcellona

 

Come le tue mani
rapiti da sbuffi di fiato
da sguardi in aggetto su sciarpa
andammo (in inverso)
incontro al domani.

Tirana

 

E se pure sto morendo in questa stanza
dipingo sullo schermo la mia vittoria.

I vermi
che divorano tutto
nei giorni dell’agonia
rinascono poi
come farfalle
e la mia anima
librandosi
vola via con loro.

Pistoia
(Trionfo)

 

Testo critico su Instagrammatica di Monica Boghi


Tic. Tac. Tic. Tac. Un’ossessione. Una paura. Un pensiero fisso. La consapevolezza di qualcosa che segna inevitabilmente le nostre vite, senza che si possa fermare o rallentare. In un’epoca in cui siamo abituati a controllare in maniera quasi paranoica ogni cosa, da noi stessi, agli altri, al mondo che ci circonda, a volte diamo per scontate la ricchezza e la preziosità di vivere quello che poi ci verrà portato via e che non potrà più essere restituito. Tra i temi più discussi nella storia della filosofia e della letteratura, il tempo è forse quello che attanaglia maggiormente la mente umana sentendo che incombe su di noi come
una presenza perenne che ci perseguita e ci domina.

Viviamo in un contesto dove il tempo non esiste perché siamo costretti a usarlo per risolvere incombenze e obblighi dettati da un ordine prestabilito, con la conseguenza che quello che rimane della nostra vita è la perdita purtroppo quasi inconsapevole della libertà d’essere e d’azione. Ormai la nostra società ha disimparato ad accettare il corso delle cose, a rispettarlo e viverlo nella sua naturale bellezza, in quanto prevale la fissazione di sentirci padroni di noi stessi.

Ma lo siamo davvero o siamo invece sottoposti al volere del potere politico che ci manipola a seconda delle sue convenienze? Il continuo confronto critico con la quotidianità fa scaturire profonde riflessioni sul mondo contemporaneo e Fabio Cappellini sente l’esigenza di analizzare certi aspetti che lo colpiscono e lo sconvolgono, di veicolarli e di comunicarli in maniera incisiva e significativa con diverse modalità espressive, quelle che ritiene più idonee a questo scopo. E’ la curiosità che lo smuove e che lo porta ad immortalare con il semplice scatto della fotografia tutto ciò che fa esplodere in lui la sua
emotività, realizzando un infinito reportage di quello che i suoi occhi vedono e che lo commuovono.

Con la bramosia di un collezionista si aggira inquieto per rubare l’anima delle cose e renderle presenze eterne sulla pellicola fotografica nonostante la loro fugacità, ossia l’essere stati attimi irripetibili.

 I suoi lavori nascono da una combinazione tra casualità e attenzione dove a volte, come nel progetto Locations dell’anima, prevale l’istinto e ritrova una sorta di serenità in quei particolari architettonici, naturali o umani, e in quei frammenti di situazioni che costituiscono il suo quotidiano; mentre altre volte, per portare avanti un’idea, si limita a isolarsi ed a osservare dall’esterno, come nel progetto Instagrammatica, in cui emergono molti accostamenti interessanti dove pochi elementi saltano subito all’occhio come se fossero decontestualizzati, permettendoci quindi di interrogarci su alcune questioni: il rapporto tra umanità e natura, l’uomo e la sua presenza nel mondo, la contrapposizione tra ciò che è puramente materiale e quello invece che pur invisibile si percepisce, come il passare del tempo, gli stati d’animo, certe condizioni sociali, la comunicazione o meglio, in questo caso, la mancanza di comunicazione.

La prima fotografia con cui Fabio Cappellini inizia la serie in questione è quella che realizza al Museo degli Uffizi, nella stanza dedicata a Leonardo, in cui ritrae in primo piano un signore nell’ingegnosa operazione di farsi un selfie tra la massa di gente, cercando la posizione migliore non per ammirare i capolavori artistici, ma per apparire meglio nella propria foto ricordo destinata probabilmente ad essere pubblicata sul profilo personale di facebook.

Sembra di essere arrivati a un punto di non ritorno in cui siamo completamente circondati dal valore estetico delle immagini e dalla logica imperante della comunicazione istantanea che ha il potere di ridurre qualsiasi nostro pensiero, azione ed emozione in codici numerici da inserire nell’interspazio
digitale.

Le previsioni catastrofiche sul controllo sociale di massa preannunciate da Orwell si sono avverate in quanto la facilità con cui l’informazione filtrata ci arriva, ci induce sempre di più a dipendere
dalla modalità con cui vogliamo mostrare noi stessi, e il voler osannare le tracce del nostro passaggio
attraverso i social network e i media non è altro che la dimostrazione di come sappiamo vivere solamente
il momento attuale ed essere in fondo presenze effimere sulla terra.

I nostri sforzi sono ormai incanalati nella creazione di avatar personali che prendono il nostro posto nell’infinita rete sociale dove la frase, l’immagine o il link che si condivide diventano gli unici parametri di giudizio per conoscere una persona.

I potenti mezzi di comunicazione non servono ad altro se non a diffondere il finto mondo da loro stessi
creato, in cui è più facile nascondersi perché non si ha più l’esigenza di entrare in contatto con il vero sé.

Prevale quindi la terribile logica dell’apparire per la quale si assumono certe sembianze unicamente per
farsi accettare, e questo continuamente essere connessi con gli altri risulta essere alla fine illusorio, come un velo di maya dietro cui si cela una profonda solitudine a cui siamo tristemente costretti a sottostare.

Osservando queste scene ci rendiamo conto che la tendenza ad essere visti, raggiunti e contattati in ogni
singolo momento, in ogni angolo del pianeta ci stia sempre di più trasformando in eterei fantasmi, troppo
deboli e impotenti per trovare un’alternativa al nostro sistema che come un vortice procede inesorabilmente in questa direzione.

Le fotografie di Fabio Cappellini ottenute con la spontaneità e la sincerità con cui guarda il mondo in cui vive hanno la forza di comunicare esattamente queste condizioni umane e sociali.
Semplici gesti, che possono sembrare quasi scontati nella loro banalità, vengono qui amplificati nel silenzio assordante in cui sono stati colti, e gli scorci, dove la presenza dell’uomo si confonde con quella architettonica della città, rivelano come sia quasi immediato riconoscersi in tali istanti di vita altrui che ci troviamo a spiare e che ci permettono di avere una maggior consapevolezza su di noi e sulla massa a cui apparteniamo.

 [Monica Boghi]

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