Omologazione e disincanto. La fine del sogno popolare Europeo (di Fabio Cappellini)

La crisi della visione Europeista e l’Italia.

In un insieme culturale come quello che viene tenuto insieme sotto la bandiera dell’unità Europea, ciascun paese porta un identità specifica, figlia della sua storia, dei cicli socio-economici che ha attraversato.

Un insieme di questo tipo non può standardizzare i singoli popoli che lo compongono; assimilandoli a motori montati in batteria che devono avere tutti la stessa spinta propulsiva e la stessa potenza.

Di fatto però i regolamenti economici e le leggi dell’Unione Europea privilegiano l’omologazione, ad una visione olistica che valorizzi le differenze, innescando un ciclo virtuoso e felice di crescita comune.

“Abbiamo fatto L’Italia, adesso dobbiamo fare gli Italiani”.
Questa frase Di Massimo D’Azeglio, che gli Italiani della mia generazione imparavano sul “sussidiario” in quinta elementare, è stata fraintesa e utilizzata per giustificare ogni particolarismo legislativo volto ad allargare il consenso verso l’istituzione nazionale.

Autonomie fuori controllo, regalie clientelari istituzionalizzate, sono state sfruttate dai “sistemi” di partito per sostituire all’identità ideologica con cui  nascevano, una struttura fisica, burocratica, che si è insinuata nelle istituzioni fino a sostituirle o a renderle solo rappresentative. Di fatto una metafora democratica veste una sostanza oligarchica, che si auto-riproduce con criteri di cooptazione.
Così l’attuale sistema politico italiano è sovraccaricato da strutture inutili, costose, garantiste fino all’eccesso verso “diritti acquisiti” che di fatto sono solo iniqui privilegi, spesso immeritati.

Da questo punto di vista i richiami dell’Unione Europea a tagli della spesa pubblica sono recepiti, con le complicità più impensabili (stampa, sindacati, ecc), come inviti a sacrificare il welfare, e non come la necessaria eliminazione delle regalie gratuite che i partiti continuano a garantire e difendere per salvare il proprio apparato.
Le disparità sociali sono frutto di questa ingiustizia codificata , a norma di legge, che vede i partiti protagonisti nella gestione del  denaro pubblico.
Tutto questo trova complicità in tutti gli Italiani: chi di noi per un piccolo tornaconto personale, non si è trovato a chiudere un occhio nei confronti di una piccola ingiustizia? Quello era il sistema, così si doveva fare.
Accettare come normalità l’aver avuto la “furbizia” di trovare una scorciatoia per le proprie problematiche, contribuisce a creare un pensiero distorto della cosa pubblica.

Fino a 30 anni fa, nelle case Italiane si procedeva  per etica familiare ad elaborare  le risorse in  funzione  del bilancio familiare collettivo.

Essere famiglia  significa rinunciare ad una parte  di convenienze personali, per  venire  incontro a quelle  degli altri, vuol  dire collaborare,  parlando  e  affrontando  temi  fondamentali  tutti insieme: questo non  esiste più.

Le famiglie si sono frammentate, spesso fino ad essere costituite da un unico individuo; lo stesso tipo di discorso si può applicare alla società allargata che costituisce lo stato.

Quindi a forza di privilegi e particolarismi, le risorse necessarie al mantenimento del sistema si sono esaurite.

Molto più in fretta e in modo ancora più drammatico rispetto a ciò che sta avvenendo negli altri paesi comunitari.
Dando per scontato questo enorme difetto Italiano, dovremmo però condannare e combattere l’omologazione; “il difetto” principale su cui si basa la politica Europea.

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